“Progetti a metà”
raccolta pittorica di dipinti astratti e informali
Ho realizzato questa raccolta su commissione di un cliente “progettista” il quale intendeva arricchire gli interni di uno studio tecnico che stava allestendo, in un edificio da ristrutturare, per inaugurarlo qualche mese più avanti.
Il committente era arrivato alla mia pittura incrociandone in un locale di Lucca e l’idea che una collezione di dipinti potesse “leggersi” un po’ come una storia gli era piaciuta tanto da voler ricreare, nel suo studio, un determinato contesto che, al tempo stesso, affermasse la sua identità, etica professionale e peculiare inclinazione tecnico-lavorativa.
In un primo incontro mi aveva spiegato come la sua attività discostasse da quella tradizionale dei geometri per l’impiego della nuova tecnologia informatica e software che permetteva al committente, che intendesse costruire una sua dimora, di “vedere”, realisticamente in anticipo, quelle che sarebbero state le architetture dell’edificio ed anche gli interni.
La cosa aveva destato immediatamente in me due sensazioni che tutt’oggi definirei “contrarie”.
La prima positiva e legata alla “visione”, ritenni fosse fondamentalmente quella degli artisti che immaginavano un qualcosa che ancora non esistesse, dovendo quindi renderlo concreto dal niente per altri.
Da notare che, mettere insieme un progetto che fosse l’idea di una terza persona la quale ne godrà per la vita, mai fu cosa da poco in quanto comporti una notevole fase di ascolto, dialogo e “azzardo” senza alcuna garanzia sul risultato nel cuore altrui: tutti gli uomini detengono progetti per la propria vita, anche se non sempre essi riescano a realizzarne.
La stessa dinamica del progettista con i propri clienti avrei poi dovuta affrontarla io stesso con lui richiedente dei dipinti, e l’aspetto non doveva dunque esser minimamente sottovalutato!
La seconda sensazione, quella negativa, fu relativamente la preoccupazione del non sapere come illustrare quest’aspetto della progettazione tecnologica…io per primo permango piuttosto refrattario alle nuove tecnologie e tendenzialmente ancorato alla nostalgica rievocazione del passato quasi in tutto.
La prima idea consisté quindi nel ricercare una suggestione che arrivasse dal territorio, attitudine per me più naturale e che intendevo sviluppare discutendo dell’etica con cui in generale si possano affrontare i progetti “a metà” altrui, onde concretizzarli esaudendoli.
L’aspetto che lo studio venisse riportato nella terra d’origine del professionista, in un edificio in pietra costruito chissà quanti secoli prima ed in una location immersa nella natura a pochi metri dal fiume, mi concedeva un buon respiro e una notevole ispirazione: le nostre radici non debbono essere mai trascurate anche quando la tecnologia intangibile del mondo digitale ci faccia navigare veloce o lontano.
Ho quindi iniziato a documentarmi e soprattutto effettuato vari sopralluoghi nei luoghi coinvolti onde ricercare alcuni elementi che mi avrebbero dovuto aiutare nell’abbozzare i dipinti, sette in tutto, di dimensioni diverse.
Le suggestioni giunsero a profusione e rinvenni idee, che reputavo valide, per almeno una decina di composizioni pittoriche, tuttavia mi sfuggiva un qualcosa, o meglio, i concetti mi erano chiari, ma il collegamento tra essi scorreva ancora sotterraneo come un fiume.
Pensai allora che i progetti, quelli tecnici, avevano una fase attuale ed una modificata, pertanto così sarebbe stato opportuno che fosse nella raccolta.
Il punto di partenza divenne la “visione” dello stato dei fatti, una vista dall’alto piuttosto distante che permise di valutare per bene ogni cosa, un po’ come facevano i pittori che, perdendosi nella minuzia del quadro tra mille piccoli dettagli, prendevano a intervalli ad allontanarsi dalla tela per apprezzarne l’insieme.
Nacquero così i primi tre dipinti, con un aspetto quasi da mappa ma nei colori caldi e naturali della terra
La fase successiva fu lo studio di quanto potesse star dietro alle motivazioni di un progettista, in pratica l’energia dalla quale egli attingesse nel suo lavoro.
Reputai che i progetti stessi, o almeno una parte di essi intendendoli come idea, potessero risplendere di una luce propria, magari soffusa o parzialmente coperta dalla polvere del tempo.
Medesima “illuminante” dinamica avrebbe dovuto verificarsi per l’anima:
l’anima delle persone talvolta viene ignorata e trascurata per varie cause tra le quali il vivere veloce o poco profondo o cinicamente.
Mi domandai così se anche i materiali con i quali si costruiva una casa, una chiesa, un castello o semplicemente un muro, potessero avere un’anima, quella sorta di elementare-alchemica energia che risiede nelle cose erroneamente ritenute “inanimate”.
È notorio che gli tutti gli esseri viventi, siano essi animali o vegetali, siano alimentati da un ancestrale soffio di vita e detto principio dovrebbe venir trasmutato anche alle rocce, ai mattoni, al legno e in genere agli altri materiali anche se inerti.
Così, dal confuso legarsi degli strati rocciosi nel sottosuolo, nacque il quarto dipinto: materico, metallico, grezzo come una pietra venata dai tanti minerali.
Mi concentrai dunque sull’etica del progettare.
Sia chiaro che sempre intendo la nozione “progettare” in senso lato e non riferendo soltanto all’ambito professionale ma piuttosto a quello umano e filologico.
“Esiste un’etica nel progettare?” fu la domanda d’antefatto.
Progetti se ne annoverano di utopistici, di positivi, di malvagi, di economici e di almeno altre cento fattispecie.
Di questo aspetto avevo discusso con il committente, un progettista appunto, il quale mi aveva confidato che ogni suo lavoro si strutturasse di una base di analisi del contesto paesaggistico, quindi anche naturalistico, dunque di tanti studi fatti di bozzetti, molti a mano libera sul luogo del rilievo, per ricercare proprio che la successiva costruzione si contestualizzasse in modo armonico con l’ambiente.
Da lì iniziava la seconda fase fatta di ascolto e dialogo col cliente e, soltanto in ultima battuta, avveniva l’impiego della processo rendering per meglio definire spazi, resa e aspetto della futura costruzione
Stabilii dunque che, i progetti “buoni” , dovessero consistere di solide radici, intendendo ovviamente non l’aspetto di stabilità e sicurezza, quanto piuttosto il radicamento, quel contatto reale con il proprio sentire, ma anche col proprio territorio e, non ultima, con la propria storia.
Insomma, un progetto positivo o utopistico, non doveva prescindere dall’ individualità del proprio titolare, dalla sua vita.
La tecnologia ne sarebbe stata la linfa, il filo che lo trattenesse ancorato al presente ma soprattutto lo slancio verso i voli futuri.
Un passaggio obbligatorio sarebbe stato poi citare la matrice di sogno di cui consisteva ciascun progetto.
Il riferimento che pensai più pertinente arrivò interessandomi a dei racconti popolari di quel preciso luogo che avrebbe ospitato la raccolta.
Uno di essi narrava che dei popolani, credendo che sarebbero poi cresciuti come solidi pali di ferro, avrebbero piantato degli spilli in un campo così come si fa per gli ortaggi.
Trovai il tema incredibilmente sognante e romantico, un po’ come avviene per molti progetti che iniziano sì da un’idea ma poi partono per una meta straordinaria chiamato “Fantasticare”.
In quest’ottica ( dopo vari tentativi tecnici per ricreare una sorta di malta che ricordasse l’ossidazione del rame ) produssi il sesto dipinto il cui titolo assai esplicito, riferiva a quella “romantica” novella
Il settimo dipinto, l’ultimo da produrre, aveva dimensioni diverse dai precedenti che erano raggruppati in formati omogenei tre più tre.
Avevo accennato in partenza all’aspetto che le opere volessero esser lette come una storia unica, ossia che ciascuna si legasse all’altra non solo nel cromatismo e nello stile ma specialmente nell’archetipo.
Le dimensioni, notevolmente superiori alle altre tavole e sviluppate in verticale piuttosto che quadrate, meglio si sarebbero prestate per rappresentare un tema che già avevo ipotizzato in partenza: il Guardiano.
La funzione di questo ultimo dipinto, in realtà il primo ad esser stato pensato, avrebbe dovuto essere quella di collante tra gli altri riprendendone i singoli elementi .
Pensai che fondamentalmente i progetti, a metà fossero sogni , dunque che per questo fluttuassero nell’aria, contrariamente alla mia prima ipotesi dove li immaginavo “ancorati” nella terra.
Non per questo sarebbero stati nell’aere privi di radici, tutt’altro…, i progetti necessitavano di radici e nuova linfa da cui attingere per crescere oltre che d’imparentarsi con la materia onde acquisir sostanza consistente.
In pratica, nel gioco dell’astrazione di tutti gli elementi, l’attore più adeguato con piena facoltà d’ interagire nella scena, non poteva che consistere in un Guardiano che custodisse ogni singolo pezzo, quindi materia, radici, linfa, sogni, progetti e quant’altro.
La funzione più tipica sarebbe stata, oltre che vigilare affinchè etica, anima, radicamento mai mancassero, quella di prendersi cura dei progetto, di per sé rilucente dall’interno, allo scopo di farlo crescere, così come una casa dalle nuove fondamenta giunga al tetto.
0